15 maggio 2011. It is summit, è
vetta.
Solo sentendo la frase magica, Mario
Merelli ha capito d’avercela fatta, di aver vinto il Dhaulagiri. Un’immensa
soddisfazione, arrivata dopo due tentativi non riusciti (nel 2001 e nel 2007) e
funestati entrambi dalla scomparsa di un compagno: lo spagnolo Pepe Garces e il
bergamasco Sergio Dalla Longa.
È arrivato da solo. Tutti, compreso il
compagno di cordata Marco Zaffaroni, hanno desistito a causa della bufera di
neve e vento e della nebbia fittissima. «La salita finale è stata terribile:
non vedevo più nulla, non sapevo più dov’ero.
Ho capito che ero arrivato, perché non
c’era più niente da salire». Ma il dubbio è rimasto finché, il 19, la comunità internazionale
degli alpinisti, ha certificato l’avvenuta impresa.
«Per arrivare in cima a un 8.000, bisogna
metterci la pelle. Perché non è come l’alpinismo classico, dove si è legati in
due, dove le temperature sono accettabili e le condizioni di respiro normali;
quando si tenta un 8.000, tutto arriva all’estremo, allora ognuno deve pensare
per sé, deve pensare solo a farcela.
Il 15 maggio, sono uscito dalla tenda alle
4 del mattino e vi sono ritornato alle 4 del pomeriggio: 12 ore tra salire e
scendere, con un dislivello di circa 800 metri. Il Dhaulaghiri non è una
montagna semplice, è caratterizzata da una forte instabilità meteorologica e
dal freddo (spesso sono 40 gradi sotto zero), la mattina generalmente è sereno,
a mezzogiorno comincia a rannuvolarsi e prima di mezzogiorno e mezzo puoi star
certo che nevica.
Quando dal campo base si vedono scendere
delle valanghe enormi, tu sei lì che pensi che domani dovrai passare di là...
Per consolarti, ti dici: se si è staccata stasera, domani non succederà».
Cosa si fa prima di affrontare l’ultima
fatica?
«Si celebra la Puja, cerimonia religiosa
che invoca la benedizione delle Divinità che risiedono sulle montagne. Si
accendono rami di ginepro e incenso e le volute del fumo si alzano verso il
cielo, portando con sé le preghiere degli uomini. È sempre un momento di forte emozione».
L’obiettivo è raggiungere tutti i 14
ottomila?
«L’obiettivo è il gusto di arrampicare; ci dev’essere sempre il desiderio di partire, di ricominciare, di mettersi in gioco. Perché, a certe altezze e con certe condizioni meteo, devi aver voglia di uscire dalla tenda. Se un giorno mi troverò di fronte all’ultimo 8.000, sarà come la prima volta, con la stessa passione per la montagna. Non per una classifica, per un primato, ma per me stesso».
"In memoria di Mario Merelli, appassionato esploratore, alpinista, e caro amico."
GRONELL